Il “Sentiero Frassati” della Basilicata è un
percorso escursionistico di 22 chilometri che -
toccando interessanti siti storici, religiosi e
naturalistici – si sviluppa interamente nel
territorio di Sasso di Castalda (Potenza), antico
borgo dell’Appennino Lucano, ai piedi del gruppo
montuoso Arioso-Pierfaone. Costituito da un anello
di 14 chilometri e da una bretella di collegamento
col centro storico di 4 chilometri, il percorso è
stato individuato tenendo conto della memoria
storica degli abitanti del paese, che utilizzavano
i sentieri per andare a coltivare i campi,
macinare il grano, raccogliere e trasportare
legna, produrre carbone o pascolare le greggi.
Si può ben dire, pertanto, che il “Sentiero
Frassati” della Basilicata rappresenta la
riscoperta e la valorizzazione di antiche vie,
spesso dimenticate, che hanno legato un’intera
comunità alle sue montagne.La particolare
articolazione in due grandi segmenti (la bretella
e l’anello) e la possibilità di raggiungere in
auto vari punti del percorso, ne rendono possibile
una personale modulazione in una o più escursioni,
sicché davvero questo sentiero può ritenersi una
grande ricchezza alla portata di tutti! Per quanto
riguarda la segnatura del sentiero, la Sezione di
Potenza del Club Alpino Italiano l’ha curata
ispirandosi a quanto consiglia Spiro Dalla Porta
Xidias, uno dei padri del C.A.I.: “La segnaletica
sui sentieri toglie il gusto dell’avventura. Ciò
nonostante, almeno sui principali sentieri, questa
è necessaria per invitare gli escursionisti meno
esperti a camminare con maggiore sicurezza.
Facciamo in modo che questa non sia invasiva.” Ed
allora, a tutti, un buon cammino … anzi, una buona
avventura sul “Sentiero Frassati” della
Basilicata!
Le vie della
pietà
Preludio alla percorrenza del “Sentiero Frassati”
è la visita del centro storico di Sasso di
Castalda, che pressoché ad ogni angolo riserva la
vista delle memorie di una religiosità semplice e
antica, dalle chiese principali del patrono San
Rocco e dell’Immacolata (già dell’Annunziata),
alle numerose cappelle, tra cui quelle della Pietà
e della Madonna delle Grazie (quest’ultima appena
fuori l’abitato, uscendo dall’antico e ben
restaurato Borgo della Manca); dalle edicole
votive ricche talvolta di pregevoli icone in
ceramica, alle numerose croci devozionali, la più
antica delle quali – in pietra – risale al 1587.
La via del grano
Risalite le viuzze del centro storico, ci
immettiamo su quella che un tempo era la
principale via di collegamento tra il paese e la
montagna. All’altezza del Calvario scorgiamo sulla
sinistra un’ampia collina recintata: oggi è l’Oasi
del Cervo, ed è possibile ammirarvi splendidi
esemplari di ungulati, qui riprodottisi. Un tempo,
nei mesi di luglio e agosto, quanti avevano
mietuto il grano nelle zone circostanti portavano
lì, sulle piazzole comunali (aie) che ancora si
scorgono, i covoni (gregne) di grano e procedevano
alla trebbiatura, che avveniva, in una prima fase,
con l’ausilio di una grossa pietra trainata da
animali con cui si schiacciavano i covoni sciolti
e disseminati sull’aia. Per la definitiva
separazione del grano dalla paglia (ventilazione)
si sfruttava la corrente d’aria che solitamente
risaliva dal vallone. In assenza di vento, per la
ventilazione bisognava attendere il giorno
successivo o, in caso di luna piena, l’immancabile
brezza notturna. Raccolto in sacchi da cinquanta
chili, periodicamente, con l’ausilio dei muli, si
portava il grano al mulino per farne farina. La
strada era la stessa che andiamo ora a percorrere,
in direzione del torrente San Michele, che si
supera grazie ad un primo ponticello di legno di
recentissima costruzione. Ed ecco di fronte a noi
profilarsi i ruderi del Mulino del Conte, che era
l’unico del paese. Come la maggior parte dei
mulini delle zone collinari e montuose della
Lucania e del vicino Cilento, aveva un
funzionamento a ruota orizzontale, che richiedeva
meno spazio e minore quantità d’acqua. Per far
ruotare la macina in pietra del mulino (mola), si
utilizzava l’energia cinetica dell’acqua, ottenuta
attraverso un condotto tronco-conico, ad asse
quasi verticale (torre o saetta) ed un rudimentale
boccaglio, detto “tubo addizionale”, dal quale
l’acqua affluiva investendo le pale (generalmente
in legno di ontano in quanto molto resistente
all’immersione costante in acqua); esse
trasmettevano direttamente il moto alla mola, che
era montata sullo stesso albero della ruota
(generalmente in legno di leccio perché conservava
resistenza e stabilità).
La via dell’acqua
Dopo aver raggiunto la parte alta dei ruderi del
mulino, ed aver ammirato la magnifica “saetta”
scalpellata a mano in blocchi di pietra,
proseguiamo il cammino lungo il canale artificiale
che portava al mulino l’acqua del torrente San
Michele, che andiamo a riattraversare servendoci
di un secondo ponticello. Ci inoltriamo, così,
nella parte bassa del bosco della Costara,
continuando a costeggiare il corso d’acqua. Ad un
incrocio, sul limitar del bosco, termina la
bretella di collegamento col paese ed inizia il
percorso ad anello che noi, proseguendo diritto,
compiremo in senso orario. Attraversato un piccolo
ponte ci imbattiamo nelle costruzioni
dell’Acquedotto Pugliese. Già negli anni ’20 era
stato realizzato un piccolo acquedotto al servizio
dei comuni di Sasso e Brienza, ma una maggior
opera di captazione fu compiuta a metà degli anni
’50 nell’ambito di una più ampia attività di
utilizzo delle varie e ricche sorgenti di Sasso
per portare acqua in Puglia. E fu in quell’occasione
che l’antica cappella di San Michele - edificata
in esatta corrispondenza della sorgente (in
perfetto ossequio al culto michaelico) - venne
abbattuta e riedificata ad un centinaio di metri
di distanza.
La via dei pastori
Dopo aver fatto una opportuna scorta di
freschissima ed ottima acqua vicino alla cappella
di San Michele, svoltiamo a destra e cominciamo a
salire verso un gruppo di masserie (sulla destra
ve n’è una appartenuta un tempo alla famiglia di
don Giuseppe De Luca). Queste masserie venivano
abitate generalmente da aprile a novembre: attigua
alle stalle - dove venivano riparati per lo più
mucche, pecore e capre – vi era un unico ambiente
domestico (focagna) dove si mangiava e dormiva. Di
primo mattino, dopo la mungitura, gli animali
venivano istradati verso i pascoli in altura. In
estate accadeva spesso che più mandrie si
mettessero insieme (accucchiate) ed i pastori si
alternassero tra la sorveglianza e l’attività
casearia. Il sentiero che andiamo a percorrere,
ben tracciato a tornantini nella prima parte, era
anche la via attraversata dai muli che ritornavano
dai boschi in altura carichi di legnatico secco,
di cui si faceva ampia scorta per il rigido
inverno. Terminati i tornanti ed un brevissimo
tratto in ombra, in prossimità di un colletto
proseguiamo verso destra, per prativi a pascolo,
fino a raggiungere la località Madonna del Sasso,
dove ben si stagliano sul paesaggio una edicola
votiva in prossimità di un Camping.
La via dei boschi
Attraversata la strada asfaltata all’altezza della
seconda edicola votiva, ci addentriamo a sinistra
in un rimboschimento di pini ed abeti, in leggera
discesa, fino a giungere alla Fontana di Fossa
Cupa, una delle migliori acque della Basilicata.
L’attività di rimboschimento fu avviata negli anni
’50 dal Corpo Forestale dello Stato ed interessò
ampie zone del Meridione. Funzionale a quest’attività
era anche la tracciatura o il ripristino di
sentieri di montagna, come ben possiamo osservare
proprio nel primo tratto di salita dalla fontana
verso l’Arioso, dove ammireremo senz’altro una
lunga serie di tornanti ben sistemati con pietre a
secco. Arrivati a quota 1500, ci si addentra in un
bosco di faggi che diventa man mano più fitto e
prodigo di splendidi esemplari. Più in alto, a
quota 1700, sfioriamo gli impianti sciistici del
comprensorio Arioso-Pierfaone e, seguendo una
stretta cresta, giungiamo alla cima del Monte
Arioso (m. 1709), vetta del “Sentiero Frassati”
della Basilicata e cima storica del CAI lucano
perché proprio qui si indirizzò – il 15 giugno del
1878 – la prima escursione della Sezione Lucana
del Club Alpino Italiano.
La via delle nevi
Attraversata la panoramicissima cresta del Monte
Arioso, dove lo sguardo spazia dal Volturino al
Sirino, dal Cervati agli Alburni - cime tutte
innevata fino a primavera inoltrata – ci
riaddentriamo in discesa nel bel bosco di faggi,
intersecando altre piste da sci ed impianti di
risalita. Dopo aver brevemente costeggiato la
strada asfaltata che da Sasso di Castalda conduce
agli impianti sciistici – terminando in prossimità
del Rifugio del Forestale – girando a sinistra
giungiamo all’incrocio di Tempa d’Albano. Da
questo punto, a soli 200 metri, si può raggiungere
il Belvedere delle Scaledde.
La via dell’aria
Dopo un’opportuna sosta sulle panchine del
Belvedere delle Scaledde (che si affaccia, tra
l’altro, sulla vicinissima vetta del monte
Maruggio), ritornando per un po’ sui nostri passi
cominciamo una lunga discesa che - escluso il
breve tratto iniziale ancora all’ombra dei faggi -
va man mano scoprendosi su lunghi prati, dove
veramente sembrerà di “planare” … sulle ali del
vento, che qui spesso si fa sentire. A metà
discesa (a quota 1420) ci si potrà ristorare alla
sorgente Acqua Ceresola, per poi proseguire lungo
un arioso sentiero a mezza costa in fondo al
quale, svoltando a destra, ci si immette nel bosco
della Costara, fino ad arrivare, sempre in
discesa, all’incrocio con il Rifugio La Costara (a
circa 150 metri dal sentiero).
La via del Faggio di San
Michele
Nel meraviglioso bosco della Costara è possibile
ammirare gli esemplari più belli e vetusti di
faggio della regione. Il sentiero coincide qui con
uno dei percorsi fitness, seguendo il quale
arriveremo in breve al cospetto del monumentale
Faggio di San Michele, uno degli “alberi padri”
della Basilicata, tutelato con legge regionale.
Una comoda panchina ci invita ad una sosta ed alla
lettura – su apposito cartello - della sua storia
… e della sua leggenda.
L’escursionista curioso, che volesse “divagare” a
vista tra queste possenti colonne della natura,
non mancherà di scoprire qua e là, nella parte
alta del bosco, gli spiazzi (aie) su cui venivano
approntate le carbonaie. Ma anche restando sul
“Sentiero Frassati”, che riprendiamo decisamente
in discesa con ripidi zig-zag, non ci mancherà
un’altra curiosità del bosco: la buca della neve!
Ne incontriamo, infatti, una poco più sotto del
Faggio di San Michele. Con diametri e profondità
che potevano oscillare dai tre ai cinque metri,
queste buche raccoglievano un’enorme quantità di
neve, che vi veniva ammassata d’inverno, per poi
essere prelevata d’estate e portata in paese per
il confezionamento di gelati e granite. Al termine
della ripida discesa tra i faggi, raggiungiamo il
limitare del bosco nel punto esatto di chiusura
dell’anello escursionistico e d’incrocio con la
già nota bretella lungo la quale faremo ritorno in
paese.