Sasso di Castalda è un paese di meno di
mille anime, adagiato come su un’amaca tesa a quasi
mille metri fra le asperità rocciose dell’Appennino
Lucano.
Il suo nome completo fu confezionato in una riunione del
consiglio comunale del 12 novembre 1862 che deliberò,
secondo le disposizioni del governo unitario, per
evitare confusione con altri comuni omonimi sparsi per
l’Italia, di aggiungere l’appellativo di Castalda a
quello che per secoli era stato conosciuto come Il
Sasso.
E proprio quest’episodio ci riconduce alle origini del
paese, nel buio dell’Alto Medioevo, quando, nell’alta
Val Melandro, dalle ceneri di Acidios, stazione romana
sulla Via Herculia, sorsero diversi casali intorno a
conventi, benedettini o basiliani, o intorno a
roccaforti. Fra questi ultimi Saxum e Petra Castalda che
ancora a metà del XIII secolo erano tenuti a provvedere,
separatamente, alla manutenzione del Castello di Muro
Lucano. Piccoli agglomerati, dunque, di origine
longobarda che sono ancora simboleggiati in due delle
tre torri su tre colli distinti che rappresentano lo
stemma di questo paese; della terza torre se n’è persa
ogni memoria. Nel corso del medioevo Petra Castalda andò
lentamente spopolandosi fino a confluire
definitivamente, agli albori dell’era moderna
nell’attuale Sasso. La leggenda popolare racconta di
ripetute ed insopportabili invasioni di serpenti
velenosi quali causa di quest’esodo; molto più
probabilmente furono più convincenti le esondazioni
delle impetuose acque del torrente Fiumicello, che
lambivano tale abitato.
In epoca normanna Saxum era feudo di Bernardo di
Calvello, come ci è testimoniato dal Catalogo dei
Baroni. Nello stesso periodo (1163) la popolazione di
Pietra Castalda riedificava e donava al vescovo di
Marsico l’antica chiesa di San Marco. Al tempo di
Federico II era castellano a Sasso tale Uguitio, appunto
di Saxofortis. In epoca angioina Sasso fu feudo della
famiglia D’Anchy, poi di Ugo di Bounemville, poi ancora
di Bartolomeo di Capua. Successivamente i due feudi (che
ancora all’inizio del Quattrocento risultavano distinti)
appartennero alla famiglia Pietrafesa ed ancora alla
famiglia Orilia; nel corso del XV secolo furono
accorpati al feudo di Brienza e posseduti per lungo
tempo, fino alla eversione della feudalità, dalla
famiglia Caracciolo.
La popolazione
di Sasso partecipò con fervore ai moti popolari
del 1647 ed alle lotte per l’acquisizione di terre
demaniali della fine del settecento. Nel 1799
innalzò l’albero della libertà sotto la spinta
delle famiglie Taurisani, tra cui l’arciprete, e
Beneventani, tra cui Rocco Beneventani (vedi
ritratto) che fu poi eminente funzionario di stato
in epoca francese ed ancora alto consigliere
regio, dopo la
restaurazione borbonica. Lambita
soltanto dal fenomeno del brigantaggio postunitario, questa comunità cominciò a
spopolarsi nella seconda metà dell’Ottocento con
le ondate migratorie verso il nuovo continente e
più recentemente verso il Nord Italia e Nord
Europa tanto da passare dai 2800 abitanti del 1802
agli attuali 900.
Illustre emigrante deve considerarsi anche Don
Giuseppe De Luca, prete romano, come amava lui
stesso definirsi, nato a Sasso nel 1898 e morto a
Roma nel 1962. Una delle figure più espressive e
complesse della cultura italiana del Novecento, fu
storico (memorabile la sua “Storia della Pietà”),
editore (fondò le “Edizioni di Storia e
Letteratura”), scrittore, giornalista ed artefice
dell’apertura del Vaticano al mondo laico. E figli
d’emigranti sono pure Rocco Petrone, direttore
della NASA e responsabile del Progetto Apollo
negli anni d’oro dello sbarco sulla luna, e
Mariele Ventre, l’indimenticata direttrice del
piccolo coro dell’Antoniano di Bologna.